ESECUZIONE FORZATA – SANZIONI AMMINISTRATIVE E DEPENALIZZAZIONE
Cass. civ. Sez. III, Ord., 23 APRILE 2020, n. 8147

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 582-2017 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA P. A. 1 presso lo studio dell’avvocato L. C., rappresentato e difeso dall’avvocato S.S. difensore di sè medesimo;

– ricorrente –

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA SARDEGNA SPA;

– intimata – avverso la sentenza n. 1926/2016 del TRIBUNALE di CAGLIARI, depositata il 21/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/02/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

Svolgimento del processo

S.S. conveniva in giudizio il Ministero della giustizia ed Equitalia Sardegna, s.p.a., esponendo di aver ricevuto la notifica di otto cartelle esattoriali per importi dovuti alla Cassa delle ammende, a titolo di spese di giustizia e accessori, emesse sulla base della documentazione trasmessa all’agente della riscossione dall’ufficio recupero crediti della corte di appello di Palermo e del Tribunale di Palermo. Deduceva che: le cartelle stesse erano illegittime in quanto generiche e inidonee a far comprendere quale fosse il sotteso titolo di addebito; egli non era comunque debitore non essendogli stato notificato e non avendo contezza di alcun provvedimento di condanna da parte di quegli uffici giudiziari oltre che, in ogni caso, per intervenuta prescrizione quinquennale; le richieste gli avevano arrecato un ingiusto danno patrimoniale e non, del quale domandava il risarcimento.

Il tribunale, nel contraddittorio con i convenuti, rigettava l’opposizione.

Avverso questa decisione ricorre per Cassazione S.S. articolando sei motivi e depositando memoria.

Resiste con controricorso il Ministero della giustizia.

Non ha svolto difese Equitalia Servizi di riscossione s.p.a.

Motivi della decisione

Va premesso che su ricorsi assolutamente identici questa Corte si è già espressa con decisioni nn. 2553/2019, 2797/2019, 18075/2019, dal cui tenore non vi sono ragioni per discostarsi, ed i cui argomenti vengono qui ripresi.

1. Con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3 della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, artt. 24 e 111 Cost., poichè il tribunale avrebbe errato nell’omettere di rilevare la carenza di motivazione delle cartelle, valutando illegittimamente, a tal fine, documenti prodotti dalla difesa erariale in giudizio e,, quindi, inidonei a integrare “a posteriori” la componente motivazionale dell’atto amministrativo opposto. In particolare, il giudice di merito aveva valorizzato gli estratti di due pronunce della Corte di cassazione, che avevano dichiarato inammissibili ricorsi del deducente condannandolo al pagamento delle spese processuali e di somme in favore della Cassa delle ammende, le quali, invece, avrebbero dovuto essere espunte dal giudizio a maggior ragione posto che le cartelle indicavano come enti creditori il tribunale e la corte di appello di Palermo.

2. Con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 127, 611, 615, 625, 626, 666, 670 c.p.p., 15 e art. 28 reg. esec. c.p.p., art. 208, testo unico spese di giustizia (D.P.R. n. 115 del 2002), nonchè delle disposizioni e dei principi della convenzione 23 settembre 2010 stipulata tra il Ministero della giustizia ed Equitalia Giustizia s.p.a., poichè il tribunale avrebbe errato nell’omettere di considerare che: la riserva di cognizione del giudice penale, ritenuta rilevante trattandosi di decisioni riferibili alla Corte di cassazione in sede penale, non poteva estendersi alla delibazione della contestazione inerente alla mancata notifica del titolo, mancata identificazione dello stesso nella cartella esattoriale, carenza stessa del titolo; la lettura del dispositivo, ritenuta decisiva per affermare l’esistenza del titolo, non poteva aver rilievo posto che si trattava, secondo le risultanze degli stessi estratti, di pronunce in camera di consiglio non partecipata ossia senza la presenza delle parti, anche pubbliche, e deli difensori; da una parte, poi, gli estratti presupponevano la pubblicazione del provvedimento in forma integrale, e, d’altra parte, l’iscrizione a ruolo non poteva avvenire in base al solo estratto e prima della notifica del titolo impositivo esecutivo.

3.- Con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e 222, c.p.c., artt. 1365, 1366, 1367 c.c., artt. 127, 610, 615 c.p.p., poichè il tribunale avrebbe errato nell’omettere di considerare che la querela di falso proposta dal deducente avverso gli estratti dei provvedimenti, non era irrilevante perchè la falsità poteva sussistere per essere stato formato, l’estratto, prima della pubblicazione dei provvedimenti, solo con l’annotazione della decisione sul ruolo d’udienza da parte del Presidente del collegio, sicchè l’estratto stesso era a maggior ragione inidoneo a legittimare la riscossione che, invece, presupponeva la notifica del provvedimento originante il credito.

4.- Con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 616, 666, 670 c.p.p., artt. 2946 e 2948, c.c., L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 28 e art. 200 testo unico spese di giustizia, poichè il tribunale avrebbe errato nell’affermare la prescrizione decennale ordinaria dei pretesi crediti, in quanto conseguenti a violazioni degli obblighi di correttezza processuale, atteso che operava, al contrario, la prescrizione quinquennale relativa alle sanzioni amministrative il cui regime aveva valenza generale.

5.- Con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 25, 49, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 36 bis, art. 212 testo unico spese di giustizia, poichè il tribunale avrebbe errato nell’omettere di considerare che la cartella, svolgente la funzione di precetto, non era stata preceduta dalla formazione del sotteso titolo impositivo esecutivo e dalla sua notifica della quale la cartella medesima non dava atto, senza la cui sequenza legale, dunque, non avrebbe potuto procedersi a iscrizione a ruolo e alla conseguente riscossione esattoriale, altrimenti costringendosi il debitore, con ermeneutica peraltro incostituzionale in quanto irragionevolmente lesiva, a pagare senza aver avuto conoscenza delle ragioni del debito in ipotesi anche insussistenti.

6.- Con il sesto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 17, D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 12 e 25, artt. 1365, 1366, 1367 c.c., artt. 3, 24, 97, 111 Cost., poichè il tribunale avrebbe errato, utilizzando gli estratti prodotti tardivamente dalla difesa erariale, nel ritenere identificabili i titoli sottesi alle immotivate cartelle che, invece, erano inintellegibili, in specie per il comune cittadino, tenuto conto, soprattutto, che: tali atti non riportavano il numero dei correlativi provvedimenti giurisdizionali ma, in tesi, solo dei corrispondenti procedimenti; quelle del giudice di merito erano solo congetture, sostanzialmente ricostruttive “a posteriori”; la risposta negativa ricevuta dall’ufficio copie della Corte di cassazione, alla richiesta del deducente in ordine all’individuazione dei provvedimenti, confermava l’inidoneità dei dati della cartella all’identificazione; il deducente, comunque, non aveva alcun obbligo giuridico di attivarsi, come preteso dal giudice di prima istanza, presso l’ufficio indicato in cartella, e quindi presso il responsabile del procedimento amministrativo da cui, infatti, nulla di più dei dati presenti nella medesima cartella avrebbe potuto sapersi.

7.- Deve premettersi che in questa sede sono ammissibili, e verranno pertanto scrutinati – oltre che, secondo quanto si sta per dire, le censure per prospettati errori “in procedendo” – i profili di opposizione ex art. 617 c.p.c., poichè, come evidenziato dal controricorso della difesa erariale, ogni deduzione afferente all’inesistenza del titolo, traducendosi in opposizione ex art. 615 c.p.c. – non essendo prospettata una diversa qualificazione da parte del tribunale – non è suscettibile di ricorso “per saltum” a questa Corte. Ciò in ragione dell’appellabilità delle pronunce sulle opposizioni all’esecuzione, secondo la disciplina applicabile “ratione temporis” L. 18 giugno 2009, n. 69, ex art. 49, comma 2 (essendo stata pubblicata la gravata sentenza dopo il 4 luglio 2009).

8.-. Il primo motivo è in parte manifestamente inammissibile, in parte manifestamente infondato.

Come anticipato e in coerenza con la stessa prospettazione formale dell’odierno ricorrente, non vengono qui in rilievo – nè, come visto, sarebbero scrutinabili contestazioni sull’esistenza del titolo, vertendosi in punto di ragioni deducibili e dedotte ex art. 617 c.p.c. sicchè non è in delibazione l’affermazione del tribunale che, in base agli estratti dichiarati conformi dei due provvedimenti di questa Corte (in sede penale), ha concluso per l’esistenza dei “titoli all’origine dei crediti” riferiti alle due cartelle impugnate.

Il tribunale, cioè, sul punto, non ha utilizzato gli estratti in questione per integrare la motivazione delle cartelle in tesi ritenuta insufficiente, bensì ha valorizzato quella produzione della difesa erariale per negare l’inesistenza del credito sotteso all’esecuzione.

In questo senso la censura, quale formulata a pag. 4 del ricorso, non coglie la “ratio decidendi” e la portata della correlativa statuizione aggredita, mentre la sufficienza della motivazione è oggetto di diverso esame da parte del tribunale.

La distinta (e successiva) affermazione del tribunale in ordine alla sufficienza della motivazione delle cartelle è infatti oggetto di distinto (e successivo) motivo di ricorso (il sesto), al cui scrutinio ora si rimanda.

9. Il secondo, terzo e quinto motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

Come riassunto già in parte narrativa, i crediti sottesi all’esecuzione esattoriale trovano la fonte in provvedimenti giurisdizionali di questa Corte (in sede penale). Il recupero delle spese di giustizia e delle somme statuite in favore della Cassa delle ammende avviene, come osservato anche in ricorso, ex art. 227 ter, comma 1 testo unico spese di giustizia, a mente del quale “entro un mese dalla data del passaggio in giudicato della sentenza o dalla data in cui è divenuto definitivo il provvedimento da cui sorge l’obbligo.., l’ufficio.., procede all’iscrizione a ruolo”. Norma che, del resto, era sul punto la stessa anche prima delle modifiche normative di cui si sta per dire, già a decorrere dall’introduzione dell’art. 227 ter per mezzo del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 52 convertito dalla L. 6 agosto 2008, n. 133.

Si evidenzia per completezza che, nel caso, il procedimento di riscossione mediante ruolo è stato avviato successivamente alla convenzione – prevista dalla stessa norma a seguito della modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009 e stipulata inizialmente il 23 settembre 2010 – con cui la quantificazione del credito e la formazione del ruolo sono state affidate alla società Equitalia Giustizia s.p.a. (posseduta da Equitalia s.p.a. e, dopo il D.L. 27 ottobre 2016, n. 193, convertito dalla L. 1 dicembre 2016, n. 225, dal Ministero dell’economia e delle finanze). Il tutto dopo la trasmissione, da parte degli uffici recupero crediti (Urc) delle articolazioni giudiziarie, della nota di trasmissione (digitalizzata) contenente le informazioni necessarie alla formazione del ruolo medesimo (per una ricostruzione del procedimento amministrativo cfr. Corte dei conti, sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, 3/2017/G). Prima della stipula della citata convenzione, invece, gli uffici di recupero crediti (Urc) dei vari uffici giudiziari quantificavano il credito e, formato il ruolo, lo trasmettevano (in estratto) per la riscossione al concessionario.

Come si può notare, l’iscrizione a ruolo espressamente non prevede(va) la notifica del provvedimento giudiziario sotteso. E ciò in coerenza con la funzione svolta, nella fattispecie, dalla notifica della cartella esattoriale che costituisce notificazione di un omologo del precetto riferito a un titolo esecutivo rappresentato, a sua volta, dal sotteso ruolo (arg. D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 49, comma 1: cfr., da ultimo, Cass., 08/02/2018, n. 3021; Cass., 12/06/2018, n. 15345).

Nel caso, quindi, l’ufficio recupero crediti competente in base al combinato disposto degli artt. 208, comma 1, lett. b) testo unico spese di giustizia, e art. 665 c.p.p. – trattandosi, come visto, di provvedimenti giurisdizionali penali definitivi adottati dalla Corte di cassazione – ha formato il ruolo sotteso dalla cartella esattoriale notificata.

La formazione del ruolo così come la notificazione della cartella non dovevano essere preceduti dalla notifica dei sottesi provvedimenti giurisdizionali originanti il credito, della quale la cartella non doveva dare atto e la sussistenza dei quali, per quanto sopra spiegato, non è oggetto del presente scrutinio (ex art. 617 c.p.c.).

Va opportunamente ricordato che non è qui in discussione l’omessa previa notificazione dell’invito al pagamento già previsto dall’art. 212 testo unico spese di giustizia, da ritenere implicitamente abrogato dalle modificazioni all’art. 227 ter venute in essere nel 2009 e sopra richiamate (Cass., 13/09/2017, n. 21178, proprio in tema di riscossione mediante ruolo di spese di giustizia inerenti a sentenza penale). Infatti, non è dato sapere (anche perchè nel ricorso non si trascrivono sul punto i contenuti delle cartelle, intercettando peraltro un profilo d’inammissibilità delle censure) quando sia avvenuta l’iscrizione a ruolo, se cioè dopo il 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, ma in ogni caso si tratta di questione non dedotta con l’opposizione e non sollevata con il ricorso per cassazione in cui, anzi, si dà atto della ritenuta inapplicabilità del citato art. 212.

Il ricorrente deduce che, così opinando, e cioè escludendo la necessità della previa notifica del provvedimento giurisdizionale (in forma integrale), il debitore sarebbe irragionevolmente costretto a pagare senza conoscere le ragioni dell’obbligazione passiva.

Questa Corte, al riguardo, ha già chiarito che, nel caso di omessa notifica dell’atto giudiziale sotteso quando, cioè, la cartella costituisca il primo atto con cui si portano a conoscenza del destinatario, ai fini in parola, quei contenuti, la cartella di pagamento deve contenere “gli elementi minimi per consentire” all’obbligato “di individuare la pretesa impositiva, e di difendersi nel merito” (Cass., 25/02/2016, n. 3707, pag. 15).

Questa ricostruzione, logicamente, rende manifesta l’infondatezza dei dubbi di costituzionalità indicati dal ricorrente al riguardo, posto che viene rispettato il diritto di difesa, rimettendo a un accertamento in punto di fatto la verifica della sua concreta esplicabilità.

Assicurato il rispetto del nucleo minimo e fondante proprio del diritto difensivo, rientra cioè nella tipica discrezionalità legislativa la variazione di regime in riferimento a fattispecie differenti come dimostra, anche nel caso di crediti diversi da quelli qui in discussione, la disciplina dell’art. 654 c.p.c., comma 2, che prevede una notifica del precetto senza nuova notifica, a fini pre-esecutivi, del sotteso decreto ingiuntivo.

In questa cornice la questione in parola si risolve, pertanto, nella suddetta verifica, oggetto dell’ultimo motivo di ricorso, senza che possano residuare vuoti di tutela.

A proposito dei riparti connessi a tale tutela – e in relazione ad alcune affermazioni contenute sia nel ricorso che in sentenza – va ribadito che se, per un verso, l’impugnazione di cartelle di pagamento relative a spese processuali e somme dovute alla Cassa delle ammende rientra nella giurisdizione ordinaria non vertendosi in tema di tributi (cfr., ad es., Cass., Sez. U., 31/07/2017, n. 18979); per altro verso, il riparto con la cognizione del giudice penale, quando siano sottesi provvedimenti adottati da questo, è stata posta in chiaro nel senso che al giudice civile spetta la contestazione che non metta in discussione, come per… quanto qui rileva, la sussistenza e la portata della statuizione in sè dell’omologo penale (v. da Cass., Sez. U. penali, 12/01/2012 n. 491).

Infine, nel quadro dell’opposizione ex art. 617 c.p.c., sono del tutto irrilevanti – e quindi inammissibili – le questioni afferenti alla querela di falso degli estratti dei provvedimenti del giudice penale (inammissibili anche per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non essendo riportato il testo della querela) posto che, da una parte l’iscrizione a ruolo avviene sulla base del provvedimento giurisdizionale definitivo e non dell’estratto; e d’altra parte che la questione della prova dell’esistenza di un tale provvedimento giudiziale originante il credito è tema di opposizione all’esecuzione.

Quanto detto assorbe ogni altro profilo delle censure qui scrutinabili tra cui, in particolare, non rientra quella della pretesa decadenza D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 25 in quanto motivo di opposizione all’esecuzione, peraltro (sempre che non nuovo rispetto alle deduzioni di merito) infondato alla luce dei chiarimenti già esplicitati da questa Corte in ordine al perimetro propriamente tributario della norma richiamata (cfr. Cass., 08/11/2018, n. 28529).

10.-. Il quarto motivo è inammissibile poichè, secondo quanto anticipato, la questione della prescrizione è motivo di opposizione all’esecuzione, appellabile e non direttamente ricorribile per cassazione.

11.-. Il sesto motivo di ricorso è in parte inammissibile, in parte infondato. La censura è formulata, espressamente, in termini di violazione di legge e non di vizio motivazionale.

Ciò posto, e premesso che non risulta riportato il contenuto in parte qua, delle cartelle, con conseguente vizio di specificità ovvero autosufficienza delle censure ex art. 366 c.p.c., n. 6, non emerge alcuna delle violazioni di legge accreditate, atteso che il tribunale, con accertamento in fatto, ha ritenuto la possibilità di identificare i provvedimenti giurisdizionali cui erano riferite le cartelle attraverso i dati in esse presenti ovvero attraverso la loro motivazione per relazione, coincidente con la prova, data dai relativi estratti, della sussistenza dei provvedimenti giurisdizionali originanti i crediti. In particolare, il tribunale ha rimarcato la sufficienza dei riferimenti a: ufficio formante il ruolo e data di esecutività; natura del credito e relativa partita; data del provvedimento. Al contempo, il ricorrente ha impugnato tempestivamente la cartella anche ex art. 615 c.p.c., deducendo di non essere tenuto al pagamento e comunque la prescrizione del preteso credito.

Ciò che deve garantire la cartella a mezzo della sua motivazione, come prima osservato, non è la compiuta conoscenza del contenuto del titolo del credito, bensì la sua identificabilità finalizzata alla possibilità di difendersi nel merito, sicchè la parte che sostenga la nullità della stessa per questa ragione, deve anche allegare e dimostrare il concreto pregiudizio conseguentemente patito (cfr., nello stesso senso, in tema di pretese tributarie, Cass., 11/07/2018, n. 18224, pag. 3).

E’ questo il senso della costante nomofilachia che ha ripetutamente chiarito, anche in altri e contigui ambiti, che nella cartella esattoriale non è indispensabile l’indicazione degli estremi identificativi o della data di notifica dell’accertamento precedentemente emesso, al quale detti atti facciano riferimento, essendo sufficiente l’indicazione di circostanze univoche che consentano l’individuazione di quell’atto, al fine di tutelare il diritto di difesa del destinatario rispetto alla verifica della procedura di riscossione promossa nei suoi confronti (cfr., da ultimo, Cass., 11/10/2018, n. 25343).

In questo caso il ricorrente per un verso si è opposto all’esecuzione, per altro verso ha allegato lacune nell’identificabilità dei provvedimenti giurisdizionali, non notificati, contenenti le ragioni dei crediti, senza neppure spiegare quale potesse essere stata, in concreto, la lesione del diritto di difesa subita per questo motivo nell’opporsi ex art. 615 c.p.c., ossia quale sarebbe stata l’ulteriore deduzione che in quella sede avrebbe svolto dopo la migliore conoscenza delle statuizioni, e invece assunta come processualmente inibita.

Ciò assorbe, logicamente, la censura concernente l’insussistenza di un obbligo collaborativo del destinatario della notificazione della cartella affermato dal tribunale – con l’ufficio di riferimento, pacificamente individuato (nell’Urc competente) anche a mezzo del responsabile del procedimento parimenti indicato.

In altri termini, la concreta sussistenza della discussa utile conoscibilità è oggetto di un effettuato accertamento in fatto, come tale sindacabile, in sede di legittimità, solo ex art. 360 c.p.c., n. 5, nei limiti di ammissibilità di questo.

In questa chiave, sul punto la censura mira a una rilettura istruttoria attraverso deduzioni di errori “in iudicando”, con conseguente inammissibilità.

Deve infine tornare a sottolinearsi che il giudice di merito ha utilizzato gli estratti a conferma della coincidenza tra quanto ritenuto complessivamente evincibile dalla cartella e le risultanze attestanti l’adozione dei provvedimenti originanti ogni credito azionato. Diviene quindi irrilevante, al fine di vagliare la sufficienza motivazionale della cartella, la pretesa irritualità della produzione degli estratti stessi, accennata inoltre incidentalmente, genericamente e senza articolare espressamente una censura processuale al riguardo (che avrebbe imposto di spiegare adeguatamente le ragioni della irritualità processuale medesima, specificando puntualmente quando furono prodotti tali documenti).

11.-. Spese secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 1200,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2020

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