REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27417-2015 proposto da:

S.F.B., elettivamente domiciliato in ROMA piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato F. P.;

– ricorrente –

contro

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIA MELILLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3259/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/10/2017 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza n. 793/2014 il Tribunale di Monza ha pronunciato lo scioglimento del matrimonio contratto tra S.F.B. e B.A., ponendo a carico del primo un assegno divorzile di Euro 600,00 in favore della ex moglie.

Con sentenza del 24/06/2015 la Corte d’appello di Milano, per quel che ancora interessa, ha rigettato integralmente il gravame proposto dal S., che domandava venisse accertata l’inesistenza del diritto della B. di ottenere l’assegno divorzile, previa consulenza tecnica d’ufficio volta ad accertare la situazione economica della medesima e, in subordine, che venisse ridotto l’importo dell’assegno in misura proporzionale alle capacità patrimoniali e reddituali delle parti.

A sostegno della decisione la Corte territoriale ha rilevato che la B., ormai sessantacinquenne, gode di un’esigua pensione mensile di Euro 400, pur essendo proprietaria della casa di abitazione e di alcuni terreni in Slovenia di modico valore. Il S., dal canto suo, possiede una capacità economica tale da far fronte al disposto assegno divorzile.

Avverso suddetta pronuncia ricorre per cassazione S.F.B., sulla base di tre Motivi, cui resiste con controricorso B.A., che ha altresì depositato memoria adesiva alla proposta di decisione del Consigliere relatore ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Con il primo motivo viene lamentata la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 in quanto la Corte d’appello non ha verificato l’esistenza del diritto della richiedente in relazione all’inadeguatezza dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni obbiettive.

Con il secondo motivo viene lamentata l’erroneità e la contraddittorietà della motivazione della sentenza in ordine alla supposta capacità reddituale del ricorrente.

Con il terzo motivo viene lamentata l’omessa motivazione in ordine alle istanze istruttorie formulate con l’atto d’appello volte ad ottenere un’ulteriore consulenza tecnica d’ufficio o comunque un approfondimento istruttorio sui redditi della B..

11 primo motivo non è fondato, in quanto la Corte d’appello ha accertato sia l’inadeguatezza dei mezzi della richiedente (titolare di un modesto reddito da pensione di Euro 400 mensili) sia l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive in relazione alla sua età (65 anni). La pronuncia appare sostanzialmente conforme a quanto recentemente statuito da questa Corte con la sentenza n. 11504 del 2017, che nell’accertamento del diritto all’assegno divorzile impone un giudizio bifasico improntato, quanto alla fase dell’au debeatur, al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole.

Il secondo motivo è inammissibile perchè, nel prospettare un vizio motivazionale, suppone come ancora esistente il controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza, essendo invece oggi denunciabile, in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012, soltanto l’omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti (Cass., sez. un., n. 8053/2014, n. 8054/2014). 11 ricorrente non evidenzia alcun fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte territoriale.

Il terzo motivo è parimenti inammissibile, dovendosi rilevare che la mancata nomina di un consulente tecnico di ufficio, regolarmente sollecitata dalla parte, è censurabile in cassazione quando la consulenza sia l’unico possibile mezzo di accertamento di un fatto determinante per la decisione (Cass. 10938/1996): nel caso di specie, l’istanza di ammissione di c.t.u. aveva un’evidente finalità esplorativa.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

p.q.m.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondete alla controricorrente le spese processuali, liquidate in Euro 3000 per compensi, 100 per esborsi, oltre accessori di legge.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2017

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