REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16557/2016 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PISANELLI n. 2, presso lo studio dell’avvocato STEFANO DI MEO, che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato GIORGIO NOTARI;

– ricorrente –

L.M. JUNIOR, D.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BASTIONI MICHELANGELO n. 5/A, presso lo studio dell’avvocato FAUSTA MARCHESE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIAPAOLA ANGELLIERI;

– controricorrenti –

avverso il decreto n. cronol. 2216/2016 del 20/05/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositato il 20/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata, del 21/11/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte d’appello di Bologna, con la sentenza n. 2216 del 2016 (depositata il 20 maggio 2016), in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto dai sigg. D.D. e L.M. jr. (madre e figlio), con reiezione dell’appello proposto da L.M., padre del predetto M. jr., ha riformato la sentenza del Tribunale di Parma (che ne aveva ridotto l’importo) ed ha disposto che il genitore corrispondesse, per il mantenimento del figlio, la somma originariamente stabilita dal Tribunale per i minorenni dell’Emilia Romagna, con il decreto del 3 luglio 2001.

Secondo la Corte territoriale, per quanto ancora rileva, nel percorso di studi di M. jr. (di anni 24) aveva interferito il suo tentativo di inserimento nell’azienda paterna, fallito anche in ragione del significativo deterioramento del rapporto padre-figlio (caratterizzato da un forte divario generazionale (ben 70 anni di differenza di età) ed una certa confusione di ruoli (il padre titolare dell’azienda ed il figlio dipendente)) sicchè era insussistente l’affermata colpevole inerzia del giovane, idonea a far revocare l’obbligo contributivo.

Il ricorrente assume, di contro, nel contraddittorio con le controparti, la violazione del principio di diritto di recente affermato da questa Corte con la pronuncia n. 1858 del 2016 e la sussistenza della prova della colpevole inerzia del figlio.

Il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia notificata alle parti costituite nel presente procedimento, alla quale sono state mosse osservazioni critiche da parte del ricorrente.

Le doglianze proposte, tuttavia, non colgono nel segno in quanto la Corte territoriale ha escluso la sussistenza della colpevole inerzia del figlio, spiegando quel fallito tentativo di inserimento del figlio nell’azienda paterna dello stesso, con il difficile rapporto del figlio-dipendente con il padre – titolare dell’azienda e la forte differenza di età tra i due, sicchè le critiche alla motivazione della decisione si risolvono in una inammissibile richiesta di riesame delle risultanze processuali e in una diversa selezione dei fatti e degli elementi rilevanti emersi nel corso della fase di merito (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 2014), che si chiede, impropriamente, a questa Corte di rivalutare, secondo un ragionamento alternativo del tutto non convalidabile.

Nè il censurato argomentare dei giudici di merito integra una violazione dei principi di diritto elaborati da questa Corte in materia di colpevole inerzia del figlio maggiorenne, in quanto il caso qui esaminato non è affatto distonico rispetto ai principi affermati in tema di assegno di mantenimento per il figlio (mantenimento che non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma perdura immutato finchè il genitore interessato non provi che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica o rifiuti ingiustificatamente di cogliere le occasioni ordinarie per raggiungere la propria indipendenza): infatti, l’inserimento di un figlio ancora studente universitario, di giovane età, in un universo produttivo-aziendale di cui sia titolare lo stesso genitore, che con lui sia in conflitto, cessa di essere un’occasione lavorativa ordinaria e si trasforma, più propriamente, in una fase della dialettica genitore-figlio, non potendo assumere il significato di un ordinario inserimento lavorativo, sicchè esso, come tale, non testimonia nè di un inserimento stabile nel mondo del lavoro nè di un suo problematico approccio ad esso.

Alla infondatezza del ricorso conseguono le sole spese processuali (liquidate come in dispositivo), non anche l’affermazione dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, trattandosi di controversia attinente alla prole e perciò esente da contributo unificato.

P.Q.M.

 

La Corte:

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie ed agli accessori di legge.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 1, della Corte di Cassazione, il 21 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2017

 

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