FALLIMENTO: Ammissione al passivo – insinuazione tardiva – opposizione allo stato passivo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16546/2017 proposto da:
C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI COLLI ALBANI, 170, presso lo studio dell’avvocato M. C., rappresentato e difeso dall’avvocato G. G.;
– ricorrente –
e contro
CURATELA FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L.;
– intimata –
avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositata il 25/05/2017, R.G.N. 7438/2015;
Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.
Svolgimento del processo
che:
con decreto 25 maggio 2017, il Tribunale di Lecce rigettava l’opposizione proposta, ai sensi della L. Fall., art. 98, da C.G. avverso lo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) s.r.l., cui era stato ammesso in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751 bis c.c., n. 1, limitatamente al credito di Euro 11.447,38, per l’attività lavorativa prestata a titolo di rapporto di collaborazione a progetto, in base a Decreto Ingiuntivo dello stesso Tribunale, con esclusione del maggior credito insinuato, di importo complessivo di Euro 88.473,30, previo l’accertamento di nullità del contratto di lavoro a progetto, invece posto a fondamento del suddetto decreto definitivo, preclusivo della prospettazione di allegazioni eventualmente deducibili in sede monitoria, peraltro inconciliabili con la documentazione (contratto di collaborazione a progetto) per la quale esso era stato ottenuto e del quale in sede concorsuale era dedotta la nullità;
avverso il decreto di rigetto del Tribunale il lavoratore, con atto notificato il 24 giugno 2017, ricorreva per cassazione con due motivi; la curatela fallimentare, pure ritualmente intimata, non svolgeva difese;
il P.G. rassegnava conclusioni scritte, a norma dell’art. 380 bis 1 c.p.c..
Motivi della decisione
che:
1. nel rispetto di un’evidente pregiudizialità logico-giuridica nell’esame delle doglianze, il ricorrente deduce la nullità del decreto per violazione dell’art. 112 c.p.c., per inosservanza del principio di corrispondenza del chiesto al pronunciato, avendo il Tribunale omesso di pronunciare sulla deduzione di disconoscimento del rapporto lavorativo, siccome fittizio o simulato e di riserva di autonoma azione per l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato, contenuta nel ricorso in opposizione allo stato passivo (secondo motivo);
2. esso è infondato;
2.1. non sussiste, infatti, l’omissione di pronuncia denunciata, da escludere quando la decisione adottata comporti una statuizione, anche implicita, di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (Cass. 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass. 13 agosto 2018, n. 20718), avendola il Tribunale addirittura esplicitamente resa (nel senso della sua reiezione per le ragioni esposte agli ultimi tre capoversi di pg. 3 del decreto);
3. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 324, 100 c.p.c., art. 111 Cost., art. 6 CEDU, avendo limitato la propria domanda in sede monitoria al credito risultante dai prospetti paga dal mese di novembre 2012 a quello di gennaio 2013, in via acceleratoria per l’urgenza di soddisfazione di esigenze di mantenimento, ma avendo pure in esso esplicitamente disconosciuto il rapporto lavorativo formalmente qualificato a progetto e riservandosi l’esercizio di un’autonoma azione per l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato, come poi ribadito nei verbali e nelle note autorizzate nel successivo giudizio di primo grado: bene essendo possibile, senza alcun abuso del processo nè violazione di giudicato, una tutela frazionata di distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti (primo motivo);
4. esso è fondato;
4.1. occorre preliminarmente osservare come il più risalente orientamento, all’epoca accreditato presso la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, di incompatibilità della commisurazione dell’ambito oggettivo del giudicato non solo al dedotto ma anche al deducibile (coerente conseguenza dell’accertamento ordinario cui si riferisce l’art. 2909 c.c.) con le peculiarità del procedimento per ingiunzione, strutturato, almeno nella fase propriamente monitoria, secondo regole finalizzate ad accertare non già la fondatezza o l’infondatezza della pretesa creditoria, ma esclusivamente la sussistenza di elementi sufficienti a giustificare l’ingiunzione (Cass. 6 luglio 2002, n. 9857; Cass. 12 aprile 2003, n. 5854), temperasse l’affermazione del principio con l’assenza del vincolo di giudicato in altri giudizi, aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto o di diritto, qualora dal provvedimento monitorio non si ricavassero le ragioni della decisione ed i principi di diritto a suo fondamento (Cass. 25 novembre 2010, n. 23918; Cass. 20 marzo 2014, n. 6543);
4.2. il suddetto indirizzo è stato superato da quello, oggi prevalente, per il quale il principio, secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione ma anche sulle ragioni che ne costituiscono sia pure implicitamente il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, in mancanza di opposizione o quando quest’ultimo giudizio sia stato dichiarato estinto, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio (Cass. 6 settembre 2007, n. 18725; Cass. 28 novembre 2017, n. 28318; Cass. 24 settembre 2018, n. 22465);
4.3. esso deve pertanto essere inteso nel senso dell’estensione dell’ambito oggettivo di efficacia del giudicato del precedente giudizio relativo ad altro credito nascente dal medesimo rapporto ai giudizi in cui il fatto costitutivo sia lo stesso ed abbia costituito oggetto di accertamento esplicito od implicito nel precedente giudizio, rimanendo circoscritto l’accertamento oggetto del successivo giudizio a quei soli elementi del diritto di credito non coincidenti con i fatti costitutivi “invarianti” che integrano il medesimo presupposto logico-giuridico di entrambi i diritti azionati (Cass. 28 novembre 2017, n. 28318, in motivazione); e ciò sull’essenziale rilievo di esclusione nell’ordinamento processuale del divieto di procedere in separati giudizi all’accertamento di singoli crediti facenti capo ad un medesimo rapporto, nonostante esso preveda strumenti intesi a sollecitare la trattazione unitaria delle cause, onde evitare la “duplicazione di attività istruttoria e decisoria, il rischio di giudicati contrastanti, la dispersione dinanzi a giudici diversi della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale”, con la conseguenza della possibile giustificazione della scelta del creditore di azionare in separati giudizi distinti diritti di credito che siano, oltre che basati su “un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti,… anche in proiezione inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque fondati sul medesimo fatto costitutivo”, soltanto nel caso in cui sussista “un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata” (Cass. s.u. 16 febbraio 2017 n. 4090);
4.4. alla luce delle superiori premesse in diritto, nel caso di specie, appare chiaro dall’esposizione del ricorso in via monitoria, come la causa petendi della domanda del lavoratore sia stata la mera esigenza di azionare una pretesa creditoria certa, liquida ed esigibile sulla scorta di una prova documentale idonea, in funzione di mera soddisfazione di esigenze alimentari, avendo, nello stesso contesto espositivo, esplicitamente dedotto la natura simulata di una serie di contratti di collaborazione a progetto tra le parti (p.to 1. del “Premesso” del ricorso per decreto ingiuntivo, trascritto a pg. 12 del ricorso per cassazione) e addirittura riservato l’esercizio di un autonomo giudizio di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti (p.to 6. del citato “Premesso”, trascritto a pg. 13 dello stesso ricorso);
4.5. neppure è allora configurabile alcun abuso del processo, essendo legittimo che il creditore utilizzi la via più breve (il procedimento monitorio) per riscuotere la parte del credito già liquida e si riservi di agire successivamente per l’accertamento e la liquidazione della parte variabile del suo preteso credito, per la diversa natura delle pretese fatte valere nei separati procedimenti (nell’uno un credito già liquido, nell’altro un credito da liquidare), senza pericolo di formazione di giudicati contraddittori, ma neppure di un ingiusto aggravio per la posizione del debitore: al contrario, essendo piuttosto il creditore a subire un ingiusto pregiudizio nel caso di preclusione della possibilità di avvalersi del procedimento più spedito (quello d’ingiunzione) per la parte di credito già liquida, qualora, per ottenere un titolo esecutivo relativo a tale parte di credito, fosse costretto ad attendere i tempi più lunghi di un procedimento ordinario (Cass. 7 novembre 2016, n. 22574; Cass. 9 febbraio 2018, n. 3226);
5. pertanto deve essere rigettato il secondo motivo ed accolto il primo, con la cassazione del decreto, in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Lecce in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, rigetta il secondo; cassa il decreto, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Lecce in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 29 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2020