REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21443/2013 proposto da:

G.F., rappresentato e difeso in forza di procura speciale alle liti, allegata alla comparsa di costituzione in sostituzione, dall’Avvocato Fiammetta Gualtieri, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Via Pietro Tacchini 32; G.M., rappresentata e difesa in forza di procura speciale a margine del ricorso dagli Avvocati Francesco Vettori e Fabio Francesco Franco, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Giovanni Pierluigi da Palestrina 19;

– ricorrenti –

contro

G.L., rappresentato e difeso in forza di procura speciale a margine del controricorso dagli Avvocati Marco Borraccino e Alberto Delpino, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Lazzaro Spallanzani 36;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 647/2013 della Corte d’appello di Venezia, depositata il 22 marzo 2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 ottobre 2017 dal Consigliere Dott. Gianluca Grasso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati Fiammetta Gualtieri, Francesco Vettori e Marco Borraccino.

Svolgimento del processo

 

1. – Con atto di citazione del 19 luglio 2002, G.L. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Vicenza i fratelli G.F. e M., chiedendo che venisse accertato il carattere apocrifo del testamento olografo della madre Z.R. in data 11 marzo 1995, pubblicato il 11 luglio 2002, e per tal motivo fosse dichiarato nullo e privo d’effetti, disponendo, previo rendimento del conto fra i coeredi, la divisione dell’intero asse ereditario secondo le norme della successione legittima. In via subordinata l’attore dichiarava di rinunziare al legato in sostituzione della sua quota di legittima, che risultava lesa.

G.F. e M. si costituivano con distinti atti difensivi, contestando le domande svolte nei loro confronti e sostenendo la validità del testamento impugnato. In particolare, G.M. metteva in evidenza che il testamento era stato redatto di pugno della madre l’11 marzo 1995 (cioè qualche anno prima che la stessa venisse dichiarata interdetta a seguito di un ictus), evidenziando come le ultime volontà manifestate dalla madre erano pienamente giustificate dall’atteggiamento dell’attore, il quale già in occasione della morte del proprio comune padre, G.U., aveva impugnato la divisione, dando ingresso a un contenzioso che la madre aveva voluto evitare, con riferimento alla propria successione, attribuendo all’attore uno specifico e ben individuato bene.

Espletata consulenza tecnica d’ufficio grafologica onde accertare l’autenticità del testamento impugnato, nonchè sentito il consulente a chiarimenti, i convenuti chiedevano la rinnovazione della perizia.

Respinta l’istanza di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale di Vicenza, con sentenza non definitiva depositata il 30 settembre 2009, dichiarava apocrifo, e quindi nullo il testamento impugnato; disponeva che la divisione del patrimonio ereditario avvenisse secondo le norme della successione legittima, dichiarava inammissibile la domanda proposta dall’attore al punto 3 della propria memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, depositata il 14 luglio 2004, riguardante i BOT, le obbligazioni ed i fondi di investimento già immessi nel deposito a custodia n. 3137137 presso la Banca Intesa di Vicenza; accertava che l’asse ereditario era composto dai beni indicati nella parte motiva; ordinava ai convenuti la resa del conto secondo le modalità indicate in motivazione; rimetteva la causa avanti al giudice istruttore per la prosecuzione come da separata ordinanza, riservando al definitivo la regolamentazione delle spese.

2. – Avverso la pronuncia non definitiva proponevano appello G.M. e G.F. per ragioni analoghe.

Riuniti i procedimenti, con sentenza depositata il 22 marzo 2013, la Corte d’appello di Venezia ha rigettato le impugnazioni, confermando la pronuncia del Tribunale di Vicenza.

3. – Per la cassazione della decisione della corte d’appello hanno proposto ricorso G.M. e G.F. sulla base di nove motivi.

G.L. si è costituito con controricorso.

Con atto di costituzione depositato il 19 settembre 2017, G.F. si è costituito con un nuovo difensore.

In prossimità dell’udienza, le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

 

1. – Preliminarmente va respinta l’eccezione di improcedibilità del ricorso, essendo stato depositato, ex art. 134 disp. att. c.p.c., in data 30 settembre 2013 nel rispetto del termine di venti giorni previsto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c..

2. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con l’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione alla insufficiente esposizione del motivo d’appello n. 4 di G.M. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Si contesta, in particolare, che il quarto motivo dell’atto d’appello, rubricato “sull’errata ripartizione dell’onere della prova” non sia stato trattato nella sentenza impugnata. La pronuncia, pertanto, dovrebbe ritenersi radicalmente nulla, in quanto il rilievo concernente il “mancato assolvimento dell’onere probatorio in capo all’attore” costituisce una specificazione necessaria alla censura riguardante l’erronea ripartizione dell’onere della prova e, come tale, integra in sè un fatto assolutamente rilevante per la causa. L’accoglimento della censura sotto tale profilo assorbirebbe ogni altra questione. Secondo i ricorrenti, la Corte d’appello di Venezia, pur a ciò sollecitata, non ha compiuto alcuna valutazione critica sull’onere probatorio a carico dell’attore di primo grado che, a prescindere da altre ragioni, avrebbe potuto determinare di per sè, in un quadro di incertezze valutative emergente dalla CTU, un giudizio di infondatezza della domanda attorea per insufficienza della prova dei fatti presupposti dalla domanda. I giudici del gravame avrebbero inoltre dovuto verificare se G.L. avesse o meno proposto qubrela di falso rispetto ad alcuno dei documenti prodotti dai convenuti, e, in particolare, rispetto agli allegati “B” e “C” al verbale di deposito e pubblicazione del testamento.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 163 c.p.c., artt. 115, 116, 2702 c.c., art. 2729 c.c., artt. 214 e 215 c.p.c., art. 221 c.p.c., omessa e insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente alla assoluta carenza di motivazione in relazione al motivo d’appello n. 4 di G.M..

Con il terzo motivo di ricorso si prospetta un’ulteriore violazione e/o falsa applicazione dell’art. 163 c.p.c., artt. 115, 116, 2702 c.c., art. 2729 c.c., artt. 214 e 215 c.p.c., art. 221 c.p.c., per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente all’efficacia probatoria dei fogli costituenti il “testamento olografo” (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Secondo i ricorrenti, la corte d’appello avrebbe eluso le eccezioni degli appellanti – che invocavano gli effetti della non contestazione delle scritture di che trattasi confermando l’indagine sulla genuinità dei documenti allegati sub “B” e “C” al verbale di deposito e pubblicazione del testamento 11.07.2002 n. 167.238 di rep. 2 n. 29.626 di racc. Notaio Dott. B.G. di Vicenza, in mancanza di querela di falso, o, quanto meno, di specifica contestazione.

2.1. – I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.

Secondo la più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12307), la parte che contesti l’autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e grava su di essa l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo. Non è necessario, pertanto, presentare querela di falso (Cass. 4 gennaio 2017, n. 109; Cass., Sez. Un., n. 12307 del 2015).

Nel caso di specie, la corte d’appello, esaminando compiutamente le risultanze istruttorie, comprensive non solo della consulenza d’ufficio ma anche della documentazione allegata dalle parti e delle ulteriori circostanze dedotte dall’appellante a sostegno della propria tesi in punto di riscontri “esterni” all’autenticità del testamento, è giunta a confermare la decisione di non autenticità del testamento olografo resa dal giudice di prime cure. La consulenza tecnica d’ufficio è stata dunque correttamente utilizzata con la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti e nella soluzione di questioni che necessitavano di specifiche conoscenze (Cass., ord., 8 febbraio 2011, n. 3130).

A fronte della produzione documentale – del significativo numero delle scritture di comparazione – e delle contrapposte deduzioni delle parti, volte a sostenere l’autenticità o la falsità del testamento, la corte non ha effettuato alcuna errata ripartizione dell’onere della prova, esaminando – alla luce della domanda proposta di invalidità del testamento e della documentazione offerta a suo sostegno – l’istruttoria compiuta e ritenendo apocrifo il testamento impugnato. La motivazione ha dato conto, inoltre, dell’irrilevanza del documento dattiloscritto, a firma del de cujus, che corrisponderebbe al contenuto del testamento. Sulla questione dell’onere della prova non vi è stata alcuna omessa pronuncia.

Inammissibile è invece la doglianza relativa al vizio di motivazione (motivo d’appello n. 4 ed efficacia probatoria dei fogli costituenti il testamento olografo), non rientrando i profili dedotti nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – relativa all’omesso esame di un fatto storico – nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. 14 giugno 2017, n. 14802).

3. – Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2702, 2727 e 2729 c.c.; omessa, contraddittoria e illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, relativamente al valore probatorio della CTU (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Con il quinto motivo di ricorso si prospetta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2727 e 2729 c.c.. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, in relazione alla valutazione del contenuto di documenti indiziari (art. 360 c.p.c., n. 5).

Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116, 214, 215 e 221 c.p.c., artt. 2702, 2727 e 2729 c.c.; contraddittoria e illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, relativo alla erronea valutazione ai fini probatori della scrittura privata all. C al verbale di deposito e pubblicazione del testamento (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Con il settimo motivo di ricorso si prospetta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione al divieto di scienza privata del giudice, in materia per la cui comprensione sono necessarie specifiche competenze tecniche, (art. 360 c.p.c., n. 4). Omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, relativo alle argomentazioni a suffragio della CTU (art. 360 c.p.c., n. 5).

Con l’ottavo motivo di ricorso si denuncia l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione alle valutazioni del CTU (art. 360 c.p.c., n. 5).

Con il nono motivo di ricorso i ricorrenti si dolgono della nullità della sentenza per violazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in combinato con l’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione alla insufficiente esposizione dei motivi d’appello relativi all’attività del CTU (art. 360 c.p.c., n. 4), nonchè per omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione (art. 360, n. 5).

3.1. – I motivi, da trattarsi congiuntamente, stante la loro stretta connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

3.2. – I ricorrenti lamentano, innanzitutto, sotto diversi profili, l’omessa, insufficiente, contraddittoria e illogica motivazione della pronuncia d’appello in relazione agli esiti dell’istruttoria compiuta in primo grado e basata, principalmente, sulla consulenza d’ufficio su cui poggia l’impianto motivazionale della decisione di prime cure.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, come si è visto, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario.

Il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un. 7 aprile 2014, n. 8053).

In tale ambito non è inquadrabile la censura concernente deficienze argomentative della decisione in punto di recepimento delle conclusioni della CTU, esigendo, piuttosto, l’indicazione delle circostanze secondo le quali quel recepimento, sulla base delle modalità con cui si è svolto, si sia tradotto nell’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti (Cass. 26 luglio 2017, n. 18391).

Le censure mosse in relazione all’apprezzamento delle valutazioni del consulente tecnico d’ufficio (motivi 4, 7, 8 e 9) non soddisfano i requisiti indicati dalla giurisprudenza, tendendo – a fronte dell’articolata ricostruzione risultante dalla pronuncia impugnata – a una inammissibile rivalutazione in sede di legittimità del giudizio compiuto dal giudice del merito.

3.3. – Analogamente – al di là dei profili di difetto di autosufficienza riguardo alla documentazione richiamata – è a dirsi per i profili riguardanti l’erronea valutazione del contenuto di documenti indiziari (motivo 5) e della scrittura privata all. C al verbale di deposito e pubblicazione del testamento (motivo 6).

Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4 (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892). Quest’ultima disposizione – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, vizio nella specie non riscontrabile in presenza di una motivazione che dà conto, in maniera articolata, delle doglianze formulate in sede di gran rame.

Nessuna valenza di fede privilegiata può d’altronde essere riconosciuta al documento dattiloscritto che riproduce il contenuto del testamento impugnato e il cui esame è contenuto nella pronuncia della corte d’appello, con la specificazione delle ragioni per cui è stato ritenuto che non vi fosse la prova della riferibilità al de cujus della parte dattiloscritta.

3.4. – Infondata è la doglianza concernente il divieto di scienza privata in materia per la cui comprensione sono necessarie specifiche competenze tecniche (motivo 7).

Se il giudice di merito, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica, non ha alcun obbligo di nominare un consulente d’ufficio, ma può ben fare ricorso alle conoscenze specialistiche che abbia acquisito direttamente attraverso studi o ricerche personali (Cass. 26 giugno 2007, n. 14759), a fortiori non gli può essere precluso l’esame diretto della documentazione a sua volta esaminata dal consulente, vigendo il principio judex peritus peritorum, per cui il giudice di merito può disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella relazione dal consulente tecnico d’ufficio, e ciò sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca a esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche (Cass. 7 agosto 2014, n. 17757).

4. – Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

5. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese processuali sostenute da G.L., che si liquidano in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2017

 

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